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Congressi Internazionali: Perché l’Italia Non Riesce a Convertire l’interesse in risultati concreti



L’Italia è, nell’immaginario collettivo, una delle destinazioni più desiderabili al mondo per ospitare eventi internazionali. Arte, cultura, paesaggi, enogastronomia, clima: gli elementi di attrattività sono evidenti e riconosciuti. Eppure, quando si passa dalla potenzialità alla realtà dei numeri, il nostro Paese mostra performance deludenti.


I dati del 65° Report UIA, già commentati nel post del 24 giugno, collocano l’Italia nella parte bassa del ranking globale, nonostante l’interesse internazionale nei confronti delle sue città e delle sue eccellenze. Questo disallineamento tra percezione e risultati merita un’analisi più profonda.


Un sistema frammentato

La prima criticità è la frammentazione dell’offerta. In Italia mancano organismi di coordinamento realmente autorevoli e indipendenti. Le destinazioni si muovono spesso in ordine sparso, e i centri congressi – per quanto eccellenti singolarmente – faticano a inserirsi in una strategia nazionale. La promozione è disomogenea, e le iniziative pubbliche si sovrappongono a quelle private senza una regia condivisa.


L’assenza di una visione strategica

Il nostro Paese continua a investire in modo discontinuo nel settore congressuale. A differenza di altre nazioni europee, non esiste un piano strutturato di sostegno agli eventi associativi internazionali. I finanziamenti sono sporadici, spesso più legati alla logica dell’evento singolo che a una prospettiva di medio-lungo periodo. In questo contesto, le associazioni internazionali tendono a preferire destinazioni più affidabili, con interlocutori stabili e sistemi incentivanti ben collaudati.


Modelli a confronto

La Spagna, ad esempio, ha consolidato un modello fondato su cooperazione tra enti locali e un Convention Bureau nazionale efficace. Il Belgio, pur piccolo, valorizza la sua posizione strategica e punta molto sull’integrazione tra centri scientifici e sedi congressuali. La Corea del Sud ha costruito un sistema premiato per la qualità dell’accoglienza e la rapidità nel rispondere alle esigenze degli organizzatori.


L’Italia, al contrario, si affida ancora troppo spesso alla “forza del brand Paese”, dando per scontato che basti dire “Roma” o “Firenze” per attrarre eventi internazionali. Ma oggi non basta. Le scelte si fondano su criteri molto più complessi: logistica, sostenibilità, accessibilità, efficienza amministrativa, garanzie operative.


Una strada possibile

Il gap tra attrattività percepita e risultati effettivi potrà essere colmato solo attraverso un’alleanza vera tra soggetti pubblici e privati. Serve una governance snella ma autorevole, che operi con rigore, competenza e indipendenza. Serve un sistema di raccolta dati trasparente e condiviso. Servono misure di sostegno stabili, orientate ai risultati.


Finché questi elementi mancheranno, l’Italia continuerà a sprecare opportunità. E a rimanere un Paese potenzialmente straordinario, ma sempre meno scelto.

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